Si chiama Karin la donna svedese che ha recuperato una mano amputata 20 anni fa a causa di un incidente agricolo grazie ad un dispositivo bionico, primo al mondo, connesso direttamente ai muscoli e i nervi residui del braccio. Si chiama Mia Hand, ed è il risultato finale del progetto europeo DeTop coordinato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, al quale hanno partecipato anche l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, l’azienda italiana Prensilia, il Centro Protesi dell’Inail e l’Università Campus Bio-Medico di Roma. Il risultato si deve a un’interfaccia uomo-macchina, che consente alla paziente di controllare la mano in maniera naturale, alleviando anche il dolore causato dall’arto fantasma.
Spesso le persone che hanno perso un arto rifiutano anche le protesi più sofisticate disponibili in commercio, poiché risultano dolorose quando indossate e poco controllabili. Per risolvere questi problemi, i ricercatori guidati da Max Ortiz Catalan hanno sviluppato una tecnica che permette di fissare l’elemento sostitutivo allo scheletro, collegandolo con il sistema nervoso tramite elettrodi impiantati nei nervi e nei muscoli. La protesi creata è stata resa completamente personalizzabile nelle sue componenti estetiche, in modo tale da farla accettare più facilmente all’utilizzatrice.
“Mia Hand è nata per essere mostrata, e non nascosta” dichiara Francesco Clemente, direttore esecutivo di Prensilia, l’azienda che ha realizzato l’arto bionico. “Vogliamo che non sia percepita da chi la utilizza soltanto come la protesi di una mano ma come il proprio arto una perfetta espressione di sè”.
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