È possibile spegnere la tempesta di citochine infiammatorie che colpisce i pazienti con forme gravi di Covid? Basta colpire la citochina giusta. Lo dimostrano i risultati di una ricerca clinica pubblicata sulla rivista Lancet Rheumatology, coordinata da Lorenzo Dagna (primario dell’Unità di Immunologia, Reumatologia, Allergologia e Malattie Rare e professore associato dell’Università Vita-Salute San Raffaele) e da Giulio Cavalli, medico ricercatore della stessa unità.
L’analisi statistica dei dati è stata possibile anche mediante la collaborazione con i ricercatori dell’Istituto di Ricerca Urologica (URI) del San Raffaele. Lo studio confronta l’efficacia di due diversi tipi di anti-infiammatori in una coorte di pazienti con forme gravi di Covid: l’inibitore dell’Interleuchina IL-1, chiamato anakinra, e gli inibitori di IL-6 tocilizumab e sarilumab.
In base ai risultati dello studio, a differenza di questi ultimi, solo anakinra ha prodotto una riduzione sostanziale della mortalità: la citochina da colpire è proprio IL-1. Lo studio dimostra anche la necessità di intervenire in modo tempestivo, dal momento che i pazienti trattati prima (quando gli indicatori dello stato infiammatorio erano più bassi) sono anche quelli che hanno avuto la prognosi migliore.
“I tassi di mortalità del Covid-19 sono in buona parte associati all’emergere, nei pazienti con forme gravi della malattia, della cosiddetta sindrome da tempesta citochinica, uno stato iper-infiammatorio caratterizzato da una risposta immune eccessiva e dannosa”, spiega Dagna, coordinatore dello studio. “Fin dall’inizio si è ipotizzato che le citochine più coinvolte nel processo infiammatorio fossero IL-1 e IL-6. I primi tentativi di trattamento si erano concentrati sull’inibizione di IL-6, soprattutto attraverso la somministrazione di tocilizumab”, aggiunge.
Il gruppo coordinato da Dagna è stato tra i primi a tentare nuove strade terapeutiche dopo avere osservato la scarsa efficacia di quest’ultimo. Il San Raffaele è stato il primo istituto al mondo che ha testato l’efficacia di anakinra, un farmaco già usato per l’artrite reumatoide e altre gravi patologie infiammatorie.
L’intuizione è frutto di un’expertise unica al mondo nel campo delle terapie che interferiscono con IL-1. “Il fatto che IL-1 sia un target terapeutico vincente è probabilmente dovuto al fatto che questa molecola precede il rilascio di IL-6. Ciò significa che con anakinra interveniamo, in modo mirato, a monte della cascata dei segnali infiammatori”, continua Cavalli, primo autore dello studio.
“I dati del nostro studio – il primo a comparare tra loro i due trattamenti, per altro in un contesto complesso come quello pandemico – mettono ulteriore chiarezza sull’efficacia di questo approccio”, aggiunge. La ricerca dimostra inoltre l’importanza di intervenire in fase precoce, quando i danni indotti dalla malattia sono ancora contenuti.
“L’obiettivo della ricerca clinica su Covid-19 è andare, sempre di più, verso una personalizzazione delle terapie: non solo rispetto alle diverse categorie di pazienti, ma anche alle diverse fasi di malattia”, dice Dagna. “Anakinra costituisce, se somministrato al momento giusto e ai pazienti giusti, un ulteriore strumento per evitare le progressioni più pericolose dell’infezione da SARS-CoV-2. Stiamo in questi giorni avviando uno studio randomizzato internazionale che ancor meglio sostanzierà l’efficacia e la sicurezza di questa molecola nei pazienti con Covid-19”, aggiunge.
Anche questa sperimentazione è parte del maxi studio osservazionale Covid-19 (che ha incluso 1400 pazienti ricoverati per Covid) avviato a marzo presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele con il coordinamento di Fabio Ciceri, direttore scientifico dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e primario dell’unità di Ematologia e Trapianto di Midollo, e di Alberto Zangrillo, direttore delle Unita’ di Anestesia e Rianimazione Generale e Cardio-Toraco-Vascolare e prorettore dell’Universita’ Vita-Salute San Raffaele.
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