Gli alberi endemici d’Europa sono a rischio. Si tratta di arbusti non sono diffusi in nessuna altra zona della Terra e che verrebbero così cancellati dalla faccia del pianeta. È la conclusione a cui arriva l’ultimo rapporto dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), organizzazione non governativa internazionale che si occupa di valutare lo stato delle specie di animali e vegetali conosciute.
I dati dicono che delle 454 specie di alberi native, cioè originarie dell’Europa, il 42% rischia di estinguersi sul continente. Una cifra che sale al 58% se si considerano le specie endemiche, che non si trovano altrove. Di queste, il 15% è considerata in pericolo critico, trovandosi a un passo dall’estinzione.
Il disboscamento, l’espansione delle aree urbane, l’inquinamento e l’introduzione di specie invasive. Parassiti, funghi e pesti che possono sembrare fattori naturali, ma in realtà sono diffusi soprattutto dall’azione dell’uomo in quanto spesso arrivano insieme alle piante importate per ragioni commerciali. Tra le specie di alberi a rischio ci sono nomi familiari. Ci sono i frassini, gli olmi e molti alberi del genere Sorbus, dai frutti asprigni. Un altro esempio è l’ippocastano, vittima della minatrice fogliare. L’insetto che è stato per la prima volta avvistato nei Balcani e a partire dagli anni Novanta si è diffuso nel resto d’Europa. Si nutre delle foglie dell’ippocastano, le fa ingiallire e cadere precocemente, portando in alcuni casi alla morte dell’arbusto nel giro di qualche anno.
Nel medio termine, il riscaldamento globale provocherà lo spostamento di molte specie di alberi verso nord e a maggiori latitudini. Quelle di alta montagna, però, non avranno nessun posto dove andare. Infatti le condizioni necessarie alla loro sopravvivenza non esisteranno più nel nostro continente. È il motivo per cui gran parte delle specie menzionate dal rapporto dell’Iucn appartiene proprio a questa categoria. Tim Rich, tra gli autori della ricerca, sottolinea che si tratta di un problema su scala globale e per cui sono necessarie politiche adeguate perché “non esiste un pianeta B”. “Quando penso a come sarà questo posto nei prossimi cinquant’anni, è molto preoccupante”, conclude.
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